Agricoltura

Cereali, castagne, olive, viti e non solo…

La vasta piana alluvionale che ha da sempre caratterizzato la periferia lucchese ha favorito, nel corso dei secoli, lo sviluppo di attività agricole esercitate in maniera estensiva, complici i grandi latifondi in mano a poche importanti famiglie nobili della lucchesia. Esemplificativo il caso del territorio del comune di Capannori che ancora, ad inizio novecento, era completamente assoggettato alla città, dove vivevano tutti i maggiori proprietari terrieri che ne ritardarono lo sviluppo, concentrando nel centro cittadino tutte le attività amministrative e gli scambi commerciali, lasciando che i campi fossero coltivati dai mezzadri, in condizioni di assoluta povertà. Mancava una vera cultura agraria, cosicché, per molto tempo, questi terreni vennero prevalentemente utilizzati per assicurare il “giusto” rifornimento ai magazzini del padrone e a soddisfare le minime esigenze di sopravvivenza delle famiglie contadine. Un primo impulso al cambiamento fu dato nel 1898 con l’istituzione della Cattedra Ambulante di Agricoltura, con cui si cercò da subito di cambiare la mentalità della gente dei campi, favorendo un’ampia opera di informazione e formazione. Le rese della terra aumentarono così, dopo due decenni fu creata anche la Colonia agricola di Mutigliano, una vera scuola di formazione, inizialmente riservata agli orfani dei contadini morti in guerra, che badò soprattutto a far nascere una nuova generazione di lavoratori della terra. E benché fosse ampia la superficie utilizzabile per l’agricoltura, complice la povertà e il vasto fenomeno emigratorio, già da fine ottocento, andò riducendosi quella utilizzata. Secondo il catasto agrario del 1929, su un totale di 177.437 ettari, ancora 162.610 erano destinati per agricoltura e foreste (di cui 20.798 nella piana lucchese e 103.835 nella zona montuosa) mentre la parte restante, di 14.827 ettari, era improduttiva.

In questo contesto, nasce e si sviluppa su vasta scala la produzione di grano e granturco che arriva a toccare cifre record negli anni trenta, a seguito della “battaglia del grano” inaugurata dal regime e che vide mettere a coltura perfino gli spalti delle Mura urbane. Ma la tradizione in questo campo è confermata dalla presenza di numerosi molini per la macinazione del grano divenuti, nel caso del Molino Pardini di S.Pietro a Vico, uno dei maggiori in Europa per diversi decenni. E comunque, solo nel 1940 si contavano in provincia almeno 400 piccoli molini che macinavano grani teneri per produrre la farina di grano per la panificazione. E se grano e granturco, insieme alle patate, sono stati i prodotti tipici della piana lucchese, il farro e i derivati dalle castagne insieme alle patate garfagnine “Corfino” e “Porrettana” sono stati il “pane” della gente dei monti. Nella zona costiera, invece, hanno resistito, per qualche tempo e soprattutto nel periodo a cavallo dell’ultima bonifica del Lago di Massaciuccoli, le risaie che, dopo un divieto durato due secoli, vennero autorizzate dal 1839. Ma le colline del territorio, favorite dal clima mite della zona, si sono sempre dimostrate produttive e adatte per la messa a coltura di olivi e vigneti. La tradizione e la storia ci tramandano che, sulle tavole imbandite di papi e imperatori, troneggiava già nel 1400 il famoso vino di Montecarlo. Era così estesa la coltivazione dei vigneti che, nel 1864, quando la nostra provincia promosse la prima esposizione di uva e frutta a cura del Comizio Agrario, furono messe in mostra ben 1.979 campioni di uve e 975 di frutta.

I monti, invece, avari di frutti della terra, favorivano gli allevamenti soprattutto di ovini negli ampi pascoli ricchi di erbe fresche, vedendo nascere nel periodo estivo dei piccoli villaggi tipici, conservatisi fino ai nostri giorni come quelle “casette di fortuna” per l’alpeggio che si trovano a Campocatino nel comune di Vagli. Ma non c’erano allevamenti significativi, anche se nel complesso il numero era considerevole, poiché la maggior parte era rappresentata da allevamenti di tipo familiare, utile a soddisfare le esigenze della famiglia durante l’anno. Solo per fare un raffronto, nel 1935, si contavano ancora circa 40.000 bovini, 80.000 pecore e 20.000 maiali, oggi ridottisi a poche migliaia di unità.

Altra attività significativa per la lucchesia è la tradizione floricola, con il “vivaismo” attuale, erede di grandi estensioni verdi, che si contraddistingue per la produzione di fiori, soprattutto in Versilia e ad Altopascio mentre, inevitabilmente, sulla costa è andata sviluppandosi, soprattutto fino alla metà del novecento, l’attività di pesca, prima che il boom turistico trasformasse la costa versiliese, da Viareggio a Forte dei Marmi, da semplici villaggi di pescatori ad economie essenzialmente basate sul turismo.

 

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