Dalla seta ai cucirini, l’impero tessile lucchese
Per secoli, il settore tessile è stato trainante per l’intera economia cittadina e provinciale e anche il primo a favorire l’affermazione dei prodotti “made in Lucca” sulle piazze di tutto il mondo, contribuendo ad una più ampia diffusione del benessere. Tutto questo si deve alla seta, importata in città durante le prime crociate e sviluppata così rapidamente da far diventare Lucca, per diversi secoli, la capitale mondiale della sua lavorazione. Nel 1200 si sviluppò, così, in città, la classe dei mercanti, potenti e talmente ricchi da poter, in certi casi, prestare denaro a principi e re di grandi stati. La seta fu alla base anche della suddivisione del popolo in classi tra mercanti, tessitori, testori e semplici “straccioni”. La pratica della seta era così diffusa che, praticamente, non c’era casa nel centro cittadino che non avesse un telaio per la sua lavorazione mentre i drappi serici dai colori sgargianti, dal “rosso pompeiano”, all’”alessandrino” color turchino, erano richiestissimi nei mercati europei più importanti dove i mercanti lucchesi avevano aperto delle proprie sedi. La seta rappresentò anche il primo esempio di esportazione lucchese che spinse i mercanti a tutelare i segreti della lavorazione con un proprio statuto elaborato nel 1376 e a sviluppare forme di tutela dalle contraffazioni, attraverso la creazione, a metà del tredicesimo secolo, della Corte dei Mercanti lucchese che racchiudeva tutte le principali compagnie e che aveva una forza economica tale da condizionare, con le proprie decisioni, anche gli equilibri politici della città. E la Corte ebbe pure il potere di perseguire all’estero i propri affiliati, infliggendo pene esemplari a chi sgarrava.
Contemporaneamente alla lavorazione della seta, si sviluppò la coltivazione del gelso e dell’allevamento del baco da seta, per garantire che l’intero processo di lavorazione rimanesse tra le mura cittadine. Così, la campagna fu tutta un pullulare di alberi di gelso mentre in ogni casa di campagna si provvide ad allevare il prezioso baco, fonte di guadagno per impinguare il magro bilancio familiare. L’epoca d’oro della seta lucchese si interruppe nel cinquecento, anche a causa di questioni religiose che avevano indotto alla fuga dalla città tanti mercanti “eretici”, costretti a prendere stabile dimora altrove, dove misero a frutto quei segreti sulla lavorazione della seta, protetti per secoli e che ora, invece, generarono i primi seri concorrenti al drappo lucchese. Le due “rivolte degli straccioni” che scoppiarono in città, furono il primo segnale di crisi e di malessere dei lavoranti del settore, tra i quali serpeggiava la paura della perdita del posto di lavoro. Ormai era iniziato un lento ma inesorabile declino della seta che giunse al capolinea a metà ottocento, quando la malattia del gelso decimò gli allevamenti del baco da seta. Ma ormai alle porte, c’erano le nuove fibre vegetali e, successivamente, anche quelle sintetiche, pronte a raccoglierne il testimone.
Non finì, però, la tradizione tessile del settore che, anzi, seppe raccogliere la sfida della nuova epoca e rilanciarsi con le prime aziende di nuova generazione, con le vecchie filande riconvertite alla lavorazione del cotone, fino alla nascita della prima azienda tessile significativa, proprio tra le mura cittadine ad opera di Carlo Niemack. Fu proprio lui, insieme all’esponente della famiglia milanese dei tessili, Costanzo Cantoni a dar vita, nel 1890, alla Società Anonima FIFC (Fabbriche Italiane di Filati Cucirini), la futura Cucirini Cantoni Coats (CCC) dell’Acquacalda, dopo l’ingresso del colosso scozzese dei Coats nel 1904. E grazie al successo dei prodotti della CCC sui mercati di tutto il mondo, l’azienda lucchese divenne leader indiscusso del settore italiano, arrivando a dare lavoro, negli anni d’oro, ad oltre cinquemila persone. Un’intera economia cittadina si trovò di nuovo condizionata dal settore tessile ma stavolta da poche aziende. Ancora una volta, la parte preponderante della manodopera era femminile in quanto, inizialmente, la loro funzione era soprattutto quella di integrare il reddito familiare derivante dal lavoro dei campi degli uomini con il lavoro in fabbrica. E, intanto, accanto alla CCC cominciò a ruotare un grande indotto di piccole e medie aziende mentre sul territorio si accresceva la sua presenza dopo aver rilevato fabbriche a Gallicano, Bagni di Lucca, Borgo a Mozzano e Massarosa. A beneficiarne fu l’intero settore ed altri Cotonifici poterono emergere in maniera autonoma, come il Cotonificio del Piaggione, attorno al quale sorse un intero paese e divenendo centro di attrazione della manodopera di tutta la zona collinare e montuosa. Ma il settore dei cucirini non fu il solo ad espandersi. Per almeno un trentennio, a cavallo del ventesimo secolo, si sviluppò il settore della juta, canapa e lino che ebbero nello Jutificio del Balestreri di Ponte a Moriano, uno dei massimi rappresentanti a livello nazionale, arrivando a dare lavoro a quasi duemila persone.
Nel complesso, un impero tessile che cominciò a disgregarsi dagli anni settanta in poi, quando mutate le condizioni del mercato mondiale e i costi del lavoro, la posizione italiana si trovò indebolita per far fronte ai nuovi temibili concorrenti costituiti dai paesi emergenti. E anche le grandi aziende lucchesi dovettero riconvertire le proprie lavorazioni, ridimensionarsi o trasferirsi altrove.