Metallurgia: il ferro come arma da guerra
E’ un settore che vanta origini molto antiche, favorito dall’abbondanza sul territorio di acqua e legname, soprattutto di castagno, necessari per lavorare ad alte temperature il ferro e i vari metalli. Una ricchezza che richiamò, fin dal 1300, in Garfagnana, comunità di fabbri bresciani e bergamaschi, provenienti da scuole di grande tradizione, che caratterizzarono l’insediamento in zona e poi anche nell’alta Versilia, di ferriere, fonderie e “distendini”, facendo diventare la lavorazione del ferro battuto un’arte esistente ancora oggi.
Ma se con il tempo, sono cambiate le regole degli insediamenti, in tempi più recenti, a ridosso della prima guerra mondiale, sorse nella Media Valle del Serchio, a Fornaci, lo stabilimento della SMI, la Società Metallurgica italiana della famiglia livornese Orlando che cominciò a produrre munizioni per l’esercito italiano, che la portarono in poco tempo a dare lavoro a migliaia di persone, divenendo il maggior polo industriale di attrazione della manodopera della Garfagnana. La riconversione dopo la grande guerra la obbligò a cercare nuovi sbocchi e nuovi mercati, favorendo l’avvio di un’attività metallurgica che solo la ripresa delle ostilità nel 1940 la fece ritornare una micidiale azienda da guerra, poi requisita dai tedeschi, per la produzione di munizioni di piccolo e grosso calibro e in cui trovavano lavoro più di cinquemila persone. Una crescita enorme che fu seguita, a guerra finita, da un ritorno alla normalità e da un drastico ridimensionamento che obbligò l’azienda a favorire la ricerca e studi di settore e ancora oggi, come KME, permettendole però di diventare una delle aziende più importanti nella lavorazione del rame, che ha lavorato anche per la “Zecca” italiana, per la realizzazione dei primi euro nel momento della loro entrata in circolazione.
Ma ancora prima della fabbrica da guerra della SMI, considerevole e importante fu l’attività come centro di produzione “spataria” di Villa Basilica che, già nel 1400 circa, era un centro conosciutissimo proprio grazie all’arte della produzione di spade, in epoche in cui non esistevano ancora le armi da fuoco. Quell’acqua di cui era ricca la valle della Pescia minore e che solo qualche secolo dopo, avrebbe determinato il successo delle prime cartiere, allora servì per dare vita alle lame invincibili delle spade di Villa realizzate dalle mani sapienti dei maestri villesi, Biscotto e Biscottino, richiestissime dai sovrani e che vantavano in Lorenzo il Magnifico, un fedelissimo acquirente. Quelle spade ma anche pugnali e armi da taglio che sono conservate nei più importanti musei di Londra, New York e S. Pietroburgo.
Ma la metallurgia ha avuto a Viareggio un altro polo produttivo molto importante. Per oltre un cinquantennio, infatti, vi ha operato lo stabilimento della F.e.r.v.e.t., l’azienda nazionale per la realizzazione e riparazione dei vagoni ferroviari, che ha dato lavoro a diverse centinaia di operai e che solo la contrazione dei trasporti nel settore, ha fatto chiudere nel 1990, nell’ambito di una politica di contenimento dei costi e di razionalizzazione degli impianti esistenti sul territorio nazionale.
Meccanica al servizio del cartario, ma voce importante per l'export
Di grande importanza, soprattutto negli ultimi decenni, in provincia, si è rivelato il settore meccanico, grazie al notevole sviluppo del settore cartario che ha stimolato la produzione di macchinari sempre più avanzati e all’avanguardia. Ma una volta, grazie all’esistenza di importanti giacimenti ferrosi e argentiferi, soprattutto in Versilia, si svilupparono centri per la lavorazione del ferro soprattutto come a Farnocchia e Stazzema, facendo anche la fortuna dei Castracani, gli avi di Castruccio, che qua trassero le risorse per accrescere la propria potenza economica. Si è sviluppato, così, un gran numero di piccole aziende di fabbri ferrai che si è ritagliato nel tempo una nicchia di mercato ancora ricercata come quella dell’arte del ferro battuto, soprattutto per gli utensili domestici e gli attrezzi rurali, come in Val Pedogna, in Val di Turrite e a Fornovalasco dove una volta esistevano i forni fusori.
Ma la prima grande realtà del settore, a partire dagli anni venti furono le Officine Meccaniche Lenzi, sorte a due passi dalla città, che riuscirono ad affermarsi velocemente grazie a consistenti commesse statali per la realizzazione di armature necessarie per le grandi opere pubbliche da realizzarsi sul territorio italiano. Una crescita veloce per volume di attività che le impose anche un consistente aumento del numero della manodopera locale. Dalle loro officine uscirono pezzi importanti di carpenteria mentre durante la guerra fu utilizzata anche per la produzione di mezzi blindati, prima che negli anni settanta, la crisi del settore, la obbligasse ad arrendersi.
Oggi, invece, il settore meccanico è soprattutto a supporto del settore cartario locale e di conseguenza anche internazionale, per la realizzazione di macchinari tecnologicamente sempre più avanzati per la lavorazione della carta, diventando una voce molto importante dell’export provinciale. Merito dello sviluppo che il settore ha avuto sulla scia della ricerca tecnologica avviata da alcune grandi aziende, a partire dagli anni settanta, con l’elaborazione di nuovi macchinari e tecnologie, che hanno fatto acquisire al comparto locale una leadership indiscussa nella trasformazione del “tissue”. Da allora, sono stati molti gli strumenti e le attrezzature di nuova generazione che hanno fatto la storia della carta e contribuito a fare del territorio, la capitale della carta in chiave moderna. Una tradizione che ha contagiato anche altre aziende lucchesi che si sono specializzate nello sviluppo di componenti per macchine e che oggi vantano una clientela di livello mondiale.