Un marmo “altissimo”…
Per lungo tempo ha vissuto all’ombra del rinomato settore estrattivo di Carrara, i cui marmi erano già conosciuti e richiesti in epoca romana. L’estrazione del marmo nel territorio provinciale è stata tardiva e condizionata dai delicati equilibri politici esistenti nel cinquecento. Fintantochè quella vasta area montuosa della Versilia che comprendeva anche la parte delle Apuane di Seravezza e dintorni, continuò ad appartenere alla Repubblica lucchese, poco fu fatto per sviluppare questa attività. Quando, invece, finì nelle grinfie del Granducato, grazie ad all’ingerenza papale di Leone X, di famiglia medicea, fu imposto al grande Michelangelo di portare alla luce nuove vene marmifere nella zona. E fu proprio Michelangelo a scoprire, nel 1518, sul Monte Altissimo i pregiati “marmi statuari” con cui lavorò alla realizzazione della chiesa di S. Lorenzo a Firenze. Da allora, anche la Versilia ha cominciato a sfruttare questi giacimenti e ad autorizzare l’apertura di molte cave che hanno dato lavoro, nel corso dei secoli, a migliaia di persone e provveduto a cambiare la scenografia di queste montagne, dalla cima sempre bianca, grazie ai marmi. E se per un paio di secoli, l’estrazione del marmo potè essere equiparata quasi ad un’attività artigianale, visti anche gli scarsi mezzi esistenti per tagliarlo e trasportarlo, fu grazie alla ditta Henraux Sancholle, nel 1821, che fu avviato uno sfruttamento intensivo di questa zona, contribuendo anche allo sviluppo del territorio con la creazione di una ferrovia dei marmi e allo sviluppo del porto, da dove partivano per tutte le destinazioni, divenuto poi l’esclusiva zona di villeggiatura di Forte dei Marmi. Solo molto più tardi, ad inizio novecento e comunque solo per diversi decenni, fu avviata l’escavazione del marmo anche in Garfagnana dove furono aperte alcune cave, soprattutto ad Orto di Donna a Minucciano e a Vagli di Sotto che, però, dimostrarono di non avere la stessa consistenza e qualità delle prime. Ma anche qui l’estrazione del marmo servì a trasformare l’economia del posto, adattando tanta gente dedita fino ad allora al lavoro dei campi e all’allevamento, verso il lavoro nelle cave. Così, la produzione di marmo crebbe costantemente fino a toccare il massimo nel 1929, sotto la spinta del regime e delle grandi opere pubbliche realizzate, con una quantità di 124.688 tonnellate di marmo di marmo estratto, di cui ne furono esportati oltreoceano circa la metà, ben 69.653 tonnellate. In quel momento, i giacimenti marmiferi della provincia si estendevano su una superficie di 3.192 ettari e tra i marmi più richiesti, oltre allo statuario, c’erano erano anche i bianchi venati, i bardigli e l’arabescato. Poi, però, la crisi mondiale e il crollo della borsa di New York, impose un brusco ridimensionamento al settore, anche a causa del netto calo delle esportazioni verso gli USA, cosicchè, a distanza di quattro anni, la produzione calerà a sole 34.724 tonnellate, inferiore anche ai livelli del 1922. Poi la lenta ripresa nel secondo dopoguerra, con la ricostruzione avviata a livello nazionale, cosicchè, all’inizio degli anni cinquanta, in provincia, si contavano ancora più di cento cave aperte e altrettanti stabilimenti per la lavorazione artistica del marmo, oltre ad una cinquantina di segherie del marmo. Oggi, l’industria della lavorazione del marmo è fortemente sviluppata nei comuni di Pietrasanta e di Seravezza.